Le signore dell’Appennino

di Silvia Ugolotti

Chi fa il pastore, chi lavora la lana, chi alleva api e trasforma campi incolti in zafferano.
Producono farine antiche e vincono premi, raccolgono erbe selvatiche e le trasformano in prodotti gourmet. Disegnano i loghi dei loro brand, organizzano workshop e fattorie didattiche. Sono spina dorsale e anima dell’Appennino parmense, protagoniste di belle storie di resistenza montanara al femminile
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 C’è una dorsale che separa l’Italia in due. Una catena montuosa che corre da nord a sud. Sono i crinali d’Appennino, un’infilata di cime ripide e solitarie, avvolte da un silenzio antico, custodi di una cultura che da millenni si tramanda e unisce. Luoghi poco inclini alla fretta, spesso sfiorati dal turismo, frontiere di un’Italia nascosta e a rischio estinzione. Ma la buona notizia c’è. I giovani sono tornati ad abitarli, conviti che il futuro passi anche da qui. Da questo rosario di borghi appesi, cuore pulsante e pensante del nostro Paese.
Il mare s’intravede appena, se si sale in cima; il verde di faggi e castagni riempie le valli incise e la mondanità non fa parte del vocabolario. Per i monti, solo parole semplici. E con il linguaggio dell’essenzialità, un gruppo di “risalenti” ha raggiunto pendici e cime montane con un obiettivo: risvegliare il territorio, restituendo tradizioni che si stavano perdendo. È la cultura dell’urgenza. Sono giovani, tenaci e creative. Sono madri coraggiose che hanno scelto di lasciare la città e una vita in tailleur per un futuro di attenzione all’ambiente e mani nella terra. Erano insegnanti, grafiche, musiciste, archeologhe; sono diventate
imprenditrici e hanno aperto il proprio cuore alla ruralità e la mente al desiderio di animare una rivoluzione in verticale, convinte che invertire la rotta sia davvero possibile.

Le custodi dei monti

“Contadini e produttori sono i veri custodi dell’Appennino. Quando le terre vengono lasciate a se stesse il paesaggio cambia: la natura prende il sopravvento. Il bosco avanza, frane e dissesto idrogeologico diventano più frequenti. Per preservare la terra è necessario lavorarla”. Laurea in lettere e una passione per la ricerca, Susanna Pizzati ha ristrutturato una casa di famiglia e l’ha trasformata in un agriturismo di charme. Ma non solo. È apicoltrice e con passione ha rimesso in funzione un antico essiccatoio per le castagne: la farina che se ne ricava, premiata per la sua qualità, è in produzione limitata.
“Per farne un chilo ne servono sei di castagne, che raccogliamo a mano e essicchiamo per quaranta giorni con un fuoco equilibrato e costante. Poi le selezioniamo e le portiamo a macinare. Il procedimento è lungo e richiede dedizione e pazienza”. L’agriturismo, All’Antica Dogana, è a Costa di Bosco. Nel granaio e nella casa padronale ci sono sei grandi camere ben arredate, con pavimenti in legno e muri di sasso. Tutto è stato ristrutturato con rispetto per l’architettura originaria e utilizzando materiali naturali.
Dal giardino inizia una foresta che si sviluppa, intervallata da prati, pascoli e sorgenti, fino al crinale tosco-emiliano e il passo del Cirone. Per secoli fu la naturale direttrice di collegamento tra le valli del Baganza e del Parma con la Lunigiana: “Il cammino degli uomini che con tenacia trasportavano merci e bestiame, facevano viaggiare la cultura. Hanno cercato vie di accesso in cresta attraverso ghiaioni e nevai pur di andare oltre e guadagnare l’altro versante”, racconta Susanna. “Le stesse vie, oggi, sono percorse da camminatori e escursionisti che rimangono estasiati da una natura che ricorda i paesaggi alpini”.

 

E qui tra praterie e bivacchi lavora Sara Simonetti dell’Azienda Agricola Val Bratica di Bellasola. Insieme ai suoi border collie alleva pecore cornigliesi, una razza pregiata e antica, oggi presidio Slow Food. A “inventarla” furono i Borboni, allora duchi di Parma e Piacenza a metà del Settencento. Incrociarono pecore locali e la pregiata razza Merinos spagnola per ottenere capi in grado di produrre lana pregiata.
“All’inizio del Novecento si fece un ulteriore incrocio con arieti bergamaschi per migliorare l’attitudine alla produzione di carne. Oggi è allevata nella Valle del Parma, nelle aree di alta collina e montagna del Parco Regionale dei Cento Laghi”. Sguardo limpido, sorriso aperto Sara, istruttrice di sheep dog ha lasciato Milano per trasferirsi in montagna e diventare un pastore, il più maschile dei mestieri. Il suo obiettivo, salvare razze autoctone e biodiversità.
Esce al mattino presto, anche verso le cinque o le sei, per rientrare appena dopo il tramonto: “C’è sempre qualcosa da fare, estate e inverno. Ma devi trovare un equilibrio tra passione e fatica”. I rumori del pascolo, lo scalpiccio degli animali, il vento e l'aria: cambiare vita per riconnettersi con il mondo.

Azienda Agricola Val Bratica: cell. 3381798411

La buona tavola

Sotto c’è Corniglio, su una dorsale montana che domina dall’alto il torrente Parma. Nacque come borgo castellano, ma oggi dell’antico maniero restano solo i bastioni che si affacciano su una piazza dove ogni giorno aprono le porte locali e pochi negozi. Quello di riferimento per assaggiare il dolce natalizio tipico di queste zone è poco lontano. Si chiama Spongata di Corniglio; è di Stefania Superchi: “sembra che la Spongata sia un dolce di origine romana, la cui ricetta sia stata tramandata e conservata nei monasteri durante il medioevo, per poi giungere sulle tavole delle grandi famiglie nobiliari tra il Quattro e il Cinquecento. La nostra ha ingredienti accuratamente scelti di produttori certificati. Durante la lavorazione evitiamo l’utilizzo di strumenti meccanici: tutto viene realizzato a mano”.
Per assaggiare la carne prelibata della pecora cornigliese, invece, si va al ristorante Claudia. Calda accoglienza e professionalità sono il segno distintivo di Patrizia Pensieri, patronne in sala, e di Alberto Lambertini, il cuoco. Insieme preservano la tradizione e valorizzano le specialità della zona. “Crediamo nella collaborazione, nelle esperienze innovative e nell’attenzione in cucina”, dice Patrizia. Sono speciali i cappelletti delicati con ripieno di maiale nero su un letto di crema di ricotta e timo; morbida e saporita la pecora in tajine che profuma di limone e erbe fresche.

Claudia: tel. 0521 881399 

A una mezz’ora d’auto c’è Monchio delle Corti, tra boschi di querce e castagni, circondato da un abbraccio di monti: il Sillara, l'Alpe di Succiso e il Caio. Un paese antico con le sue tanti corti, oggi piccole frazioni sonnolente che si animano soprattutto in estate. Luoghi che per essere compresi richiedono un approccio lento, di scoperta, seguendo la via femminile. Elena Siffredi ha scelto la montagna per realizzare i propri sogni. La società agricola La Giustrela l’ha aperta nel 2008 a Monchio, dopo essere cresciuta a Venezia e aver preso una laurea in Scienze forestali. Qui affondano le radici di famiglia e qui ha imparato ad assecondare il ritmo delle stagioni. Raccoglie erbe e frutti selvatici nelle valli del Cedra e del Parma e li trasforma in succhi di frutta, gelatine, tisane.
Per non snaturare le materie prime l’intera filiera produttiva è all’interno dell’azienda: dalla raccolta alla trasformazione, dal confezionamento alla commercializzazione dei prodotti finiti. “Per generazioni chi ha abitato il nostro Appennino ha saputo vivere utilizzando sapientemente i prodotti offerti da questo ambiente, sfruttandone intelligentemente le risorse e rispettandone i limiti. Io faccio lo stesso. Raccolgo solo frutti, che crescono allo stato spontaneo, senza l’intervento dell’uomo”.                                A Valditacca, invece, un insieme di case e palazzotti sei e settecenteschi addossati alla chiesa, c’è il ristorante Da Rita, regno al femminile delle sorelle Olivieri. Raffaella, insieme alla figlia, prepara ogni giorno menù nuovi, in base alle materie prime a disposizione e alla creatività del momento. Le sue ricette, degne di un ristorante gourmet, raccontano il piacere per le cose genuine. “Tecnica, esperienza e buoni ingredienti. Mettiamo in tavola solo prodotti selezionati”. Come le marmellate e le confetture di “Mimmi” che Raffaella utilizza nella farcitura delle sue crostate. Si trovano al Bafardel, un laboratorio sperduto tra i monti di Ticchiano di Erminia Fortini. Grafica con la passione per la fotografia, ha lasciato il suo lavoro e la città per dar vita a un sogno: recuperare l’abitazione del nonno e far crescere i suoi figli in mezzo alla natura. Miele di montagna, frutti di bosco e zafferano, tutto quello che si trova al Bafardel è naturale. Anche i mirtilli neri: “Crescono sui crinali. Con un cesto e buone gambe saliamo a raccoglierli. Vivere e lavorare a contatto con la natura richiede energie e tanta pazienza, ma non tornerei indietro. Mi sono sempre sentita parte di queste cime: ho scelto di fare quello che sono”.

   

VALGONO UNA DEVIAZIONE

Pietra e natura

Grappoli di case e piccole frazioni dove ci si sente come naufraghi nella natura: è ciò che si prova arrivando a Roccaferrara. Costruita su una ripida costa rocciosa è tra le frazioni di origine medievale più interessanti dell’Alta Valparma. Disabitata per la maggior parte dell’anno, vive nel periodo estivo rianima grazie al ritorno delle famiglie originarie e a chi, visto una volta non l’ha voluto lasciare più. Sono giovani che hanno deciso di investire e ristrutturare antiche abitazioni per farne seconde case isolate tra i monto. L’unico modo per arrivare, infatti. è a piedi. Le abitazioni in sasso sono attraversate da un’antica mulattiera selciata. Porta al Passo del Silara, attraversando i nuclei rurali di Madone e Fontanagrossa. Poco prima del passo, un sentiero ad anello segnalato dal Cai (il 741) devia verso Maestà di Graiana che conserva uno dei tanti esempi di edicole votive delle strade a protezione dei viandanti. Imboccando il sentiero 743 si rientra in discesa a Roccaferrara.

     

Il ponte sul Cedra

In pietra, una silhouette arcuata con appoggi massicci, l’antico ponte di Lugagnano attraversa l’alveo del torrente Cedra. Una costruzione a schiena d’asino stato costruito nel 1602 per volere del vescovo  Ferdinando Farnese per viandanti e pellegrini che da Parma raggiungevano la Lunigiana: “questi è la chiave per passare di là dall’Appennino nella Lunigiana, Toscana e Genovese, per quei viandanti che da Parma passano da queste parti per colà recarsi, poiché giace sulla strada maestra ed è il solo che esista sui torrenti di questi contorni che devono varcarsi. Egli è lungo 32 braccia, d’un arco solo alto 24 braccia e largo 6”, si legge su Descrizione storico, fisico, politica delle Corti di Monchio”, un testo del 1969 dello studioso Cignolini. Il ponte si trova nell’area di passaggio di una delle Vie Storiche dell’Emilia-Romagna, la  Via di Linari , che collega la città di Fidenza all’abazia di Linari nei pressi del Lagastrello.

   

Vestirsi d’Appennino

Sul versante est dell’Appennino Parmense, a Neviano degli Arduini, c’è Elisa Marchesin autrice di un progetto speciale. Si chiama Lana BioDiversa: “La nostra lana di pecore cornigliesi è completamente naturale e viene lavorata senza l’utilizzo di prodotti chimici e i filati colorati sono ottenuti utilizzando estratti da piante tintorie: robbia, guado, reseda, legno campeggio”. Sono prodotti caldi, traspiranti e, soprattutto, lontani dalle logiche di mercato, a favore del recupero e della salvaguardia della cultura e del territorio.

      

Vale la pena prendersi qualche giorno per esplorare i dintorni (meglio se con un’auto adatta a percorre strade di montagna in inverno) e soffermarsi sui piccoli tesori nascosti che in pochi conoscono, come la Pieve di Sasso di Neviano degli Arduini. Una pieve romanica in pietra povera e a tre navate, tra le meglio conservate dell’Appennino. Una chicca, nelle vicinanze, il Museo Storico dei Lucchetti di Cedogno che raccoglie oltre 4000 serrature di ogni epoca e parte del mondo. Per dormire c’è Torre Barbieri, un’affascinante torre matildica (si dice che la Gran Contessa in persona ne abbia visitato le stanze) di origine longobarda riconvertita in a b&b. Pietra a vista, sontuose travi di legno, oggetti che ben conservano la patina del tempo: ogni angolo è un omaggio al passato. Per farlo, Cettina e Maurizio d’Anna, si sono affidati al sapere di artigiani esperti, dal mastro scalpellino al fabbro, dai falegnami agli antiquari. L’insieme è un guscio caldo e famigliare, un’ospitalità sincera che rispecchia il carattere dei proprietari. La posizione è spettacolare e il silenzio totale. Quattro le suite a disposizione degli ospiti arredate con tessiture pregiate, antichità recuperate in anni di ricerca, oggetti riutilizzati all’insegna dell’upcycling: “Accogliamo gli ospiti come fossero nostri amici: amiamo le atmosfere conviviali” dice Cettina, che oltre ad essere perfetto anfitrione è anche una bravissima cuoca: “Torte e marmellate fatte in casa e latta di montagna per iniziare bene la giornata”.

di Silvia Ugolotti

Le signore dell’Appennino

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